La bellezza salverà il mondo (su “Il bene e il bello” – Bencivenga)

Copertina de "Il bene e il bello"
Copertina de “Il bene e il bello”

Se all’inizio di un libro di filosofia leggi una struggente dichiarazione d’amore per una donna amatissima che non c’è più non puoi non sentirti colpito e quasi obbligato ad approfondire.
Il libro “Il bene e il bello” di Ermanno Bencivenga è, grazie a questa ferita personale così esposta sin da subito, un testo in cui le parole mostrano la loro forza evocativa maggiore, il loro potere di “dire” il vero con maggiore rigore.

L’autore, perduta la compagna di una vita, le dedica un saggio delicato e colto in cui i concetti base della triade di vero-bello-bene (su cui si è confrontata la riflessione occidentale da Platone in poi) sono analizzati e resi accessibili anche a un lettore medio. L’autore partendo dall’idea di cosa è bello e attraverso il supporto del nume tutelare Immanuel Kant (che nella sua Critica del Giudizio ha offerto una delle più interessanti e influenti ricerche sul tema dell’arte in rapporto al pensiero filosofico) ci accompagna a scoprire il segreto che si nasconde dietro alla bellezza che noi riconosciamo o meno ad una immagine. Il bello, anche nella nostra triste epoca di consumismo, edonismo e di strumentalizzazione dei corpi per il marketing non è semplicemente qualcosa che attiene alla forma dell’oggetto, alla luce che lo illumina o alla sua proporzione e colore. Queste cose hanno a che fare con l’appetibilità, il piacere. Noi troviamo accattivante il sorriso luminoso della star che ci pubblicizza un’auto sportiva o siamo sedotti dalla sensualità della modella che ci indica, come oggetto del desiderio, oltre che – a livello si “sotto-testo” – il suo corpo, anche la crema che lo rende tanto perfetto. Tuttavia se dovessimo essere pienamente lucidi del significato profondo della parola bello sapremmo che non è corretto usarla in tali contesti. Il bello è per sua natura legato al bene: per questo la foto di Rosa Parks dignitosamente seduta sul bus è per noi bella. La donna, se guardiamo lo scatto, non ha nulla di eccezionale, ma la narrazione legata a quella foto (la segregazione razziale, la lotta per la dignità il senso di giustizia che viene reso carne) la rende vestita di luce come una Madonna di Raffaello. Ne sentiamo l’energia positiva. D’altro canto questo potere del bello di chiamare accanto a sé il bene è evidente anche nella sua assenza. Guardate le inquietanti e deformi creature di Bosch o l’orrore che suscitano in noi le foto dei reportage di guerra. Lì, in quelle immagini, il bello manca. La bruttezza però non è la causa dell’assenza di bene ma è l’effetto. Il bello non c’è perché prima è fuggito via il bene. Questa relazione ci permette di capire perché, ad esempio, riusciamo a riconoscere “belle” figure “esteticamente non conformi”. Pensiamo a Quasimodo di Hugo. Cosa c’è di più deforme del Gobbo di Notre Dame? Eppure la descrizione di quel personaggio la sentiamo bella perché l’autore ci trasmette la sua bontà di fondo, il suo tragico e universale bisogno d’amore. Questa lezione è molto importante. Nella nostra epoca siamo troppo abituati a confondere il bello e il bene che, pur nella loro relazione strettissima, mantengono però una gerarchia. Ricordiamocelo, onde evitare le derive perverse a cui, purtroppo, abbiamo. in passato, e neppure troppo tempo fa, già ceduto. Cosa leggere accanto a questo libro? Difficile scegliere…Tuttavia c’è un bel saggio che si interroga sul rapporto tra giustizia e bellezza che credo possa essere prezioso per chi voglia approfondire: “Giustizia e bellezza” di Luigi Zoja.

Lascia un commento